Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
in occasione della presentazione degli auguri del Corpo Diplomatico
Quirinale, 18 dicembre 2014
Eccellentissimo Decano,
Caro Signor Ministro,
Onorevoli Rappresentanti del Parlamento,
Signore e Signori Ambasciatori,
Cari giovani Funzionari del Ministero degli Esteri,
grazie a tutti voi per la partecipazione a questo tradizionale incontro di Fine Anno e ringrazio, in modo particolare il Signor Decano, per i calorosi auguri che, a nome dell’intero corpo diplomatico accreditato presso il Quirinale, ha voluto rivolgermi e che ricambio con altrettanto calore e con quella partecipazione intellettuale e morale che sola può consentirci di vincere quella “globalizzazione dell’indifferenza” che Papa Francesco ha definito come il male del nostro tempo e che lei, Signor Decano, ha diffusamente richiamato nel suo apprezzato discorso.
La prossima fine di questo anno 2014 e l’imminente conclusione del mio mandato presidenziale inevitabilmente ci portano a svolgere alcune considerazioni sul periodo complesso e travagliato che stanno attraversando l’Italia, l’Europa ed il mondo.
Del paese in cui siete stati inviati a rappresentare i vostri governi, avete certamente analizzato e colto – al di là di certe rappresentazioni di stampo iper-negativo se non catastrofiste – i problemi, le debolezze, e in particolare la crisi economica ed occupazionale che – come accade a molti altri paesi europei ed extraeuropei – lo affligge pesantemente. Avrete d’altra parte anche colto le enormi potenzialità intellettuali ed umane della nostra gente, il patrimonio di cultura e di storia, di capacità di innovazione, di realizzazione e di gusto, di creatività anche nello stile, che fanno dell’Italia un paese unico al mondo. Sono certo che avrete anche apprezzato l’ampio e coraggioso sforzo che il governo italiano sta compiendo per eliminare alcuni nodi e correggere taluni mali antichi che hanno negli ultimi decenni frenato lo sviluppo del paese e sbilanciato la struttura stessa della società italiana e del suo sistema politico e rappresentativo. Un’opera difficile e non priva di incognite, quella avviata e portata avanti dal Presidente del Consiglio e dal governo. Ma vi potevano essere delle alternative per chi, come noi, crede nelle potenzialità di questo paese, nel ruolo che deve rivestire in Europa, negli ideali che vuole portare e nella missione di pace che intende svolgere nel mondo?
Per quel che riguarda il nostro essere in Europa, nei mesi scorsi abbiamo preso parte ed assistito a sviluppi molto significativi. Le elezioni del nuovo Parlamento di Strasburgo, pur in un quadro generale che ha visto una rapida e preoccupante crescita di movimenti e partiti euroscettici o apertamente antieuropei (l’Italia ha votato in qualche misura controcorrente), hanno segnato un passo avanti importante verso l’europeizzazione del dibattito politico all’interno dei singoli paesi membri e verso un inedito svolgimento della dialettica politica al livello veramente continentale. E’ innegabile che la Commissione guidata dal Presidente Juncker abbia un profilo più nettamente sovranazionale e si ponga obbiettivi ambiziosi per rispondere alle sfide comuni in una chiave certamente più “politica” di quelle che l’hanno preceduta. L’Europa, sia pur lentamente e con difficoltà e contrasti, inizia a considerare se stessa e a funzionare come un’entità politica unitaria, in cui pur convivono tanti e diversissimi approcci, interessi, identità culturali, valori e aspirazioni. La nostra comune battaglia sarà nei prossimi anni quella di far riscoprire ai nostri giovani le ragioni più che mai attuali dello stare insieme e di far apprezzare ai cittadini gli enormi benefici che l’integrazione europea ci ha garantito. Tra essi in primo luogo quei settant’anni di pace che costituiscono un unicum in Europa dall’alto Medio Evo ad oggi. Andrebbero apprezzati anche i benefici che l’integrazione potrà ancora portarci, restituendo all’Europa quel ruolo di protagonista, nella diffusione di quei principi di diritto e di quei valori umani che costituiscono il substrato della civiltà nata sulle sponde del Mediterraneo ed estesasi sino all’Atlantico ed al Mare del Nord.
Con il Consiglio Europeo che inizia oggi a Bruxelles si avviano a conclusione le attività del semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea. Nel corso di mesi caratterizzati dal vivace dibattito che ha accompagnato il processo per la formazione della nuova Commissione e la designazione del Presidente del Consiglio Europeo e dell’Alto Rappresentante della Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, l’Italia ha svolto il suo ruolo nella piena consapevolezza di quanto sia diffuso il bisogno di ricreare lo slancio propulsivo e ideale che segnò l’avvio e la crescita dei processi di integrazione europea. Insieme ad altri paesi ci siamo sforzati, con qualche successo, di focalizzare l’attenzione e la volontà politica dei paesi membri sull’imprescindibile necessità che l’Unione sia nuovamente motore di crescita e di sviluppo, sapendo combinare tale primario obbiettivo con realistiche regole di riequilibrio e disciplina fiscale.
Nel corso del semestre di presidenza italiana, siamo anche riusciti a far comprendere che gli epocali fenomeni migratori connessi con i tragici eventi in Medio Oriente e in Africa costituiscono una vera emergenza europea e che come tale vanno affrontati, mentre sulle sole coste italiane sono stati quest’anno tratti in salvo, col contributo decisivo delle nostre Forze della Marina Militare, 170.000 uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra, dalle violenze e dalla fame.
Il nostro sguardo ed in particolare quello di tutti voi Ambasciatori, deve saper vedere lontano e cogliere quello che di buono e di meno buono si troveranno ad affrontare i nostri paesi. La nostra visione va dunque oltre la crisi economica ancora in atto e le sue conseguenze sociali e politiche, e abbraccia con grande preoccupazione quello che si sta verificando ai confini dell’Europa e in aree geografiche a noi vicine.
Gravi tensioni e inaudite violenze esplodono proprio nell’anno in cui insieme ricordiamo i cent’anni dall’inizio della prima guerra mondiale, ed i venticinque anni dalla caduta del muro di Berlino, dalla fine della guerra fredda e della logica dei due blocchi in cui per decenni è stato diviso il mondo.
La memoria dei milioni di vite umane perdute in Europa, le riconciliazioni vere e profonde che si sono realizzate tra tanti paesi che si erano aspramente combattuti, la ricostruzione di una storia comune e condivisa ci avevano fatto pensare che per noi e per i nostri figli si sarebbe aperta una prospettiva di maggiore serenità, di pace più sicura, di più diffusa crescita e di solidarietà. Ora vediamo invece una grande parte dell’umanità colpita da una strana e quasi incomprensibile pulsione verso la disgregazione – in varie e critiche aree del nostro mondo – di meccanismi di interazione collaudati in cui si era strutturata per decenni la collaborazione tra le nazioni e gli uomini in vista del bene comune.
Sia pur in paesi che non fanno parte dell’Unione Europea, ma che sono comunque a noi vicini per storia e tradizioni, per la seconda volta negli ultimi settant’anni – dopo i conflitti che hanno insanguinato i Balcani negli anni ‘90 – si combatte in aree contigue all’Europa oggi unita. E si tratta di un conflitto che vede il coinvolgimento di paesi grandi ed essenziali per il mantenimento degli equilibri non solo regionali, ma su scala mondiale. Tutti noi abbiamo seguito con grande apprensione lo sviluppo della crisi in Siria, poi in Ucraina e ogni giorno leggiamo notizie che riguardano la sorte di popolazioni civili, investite da conflitti che mietono vittime innocenti, gli sconvolgimenti e le diaspore che colpiscono popoli che sentiamo prossimi anche culturalmente.
L’Unione Europea, e con essa gli Stati Uniti, cui ci uniscono vincoli che oggi sentiamo più che mai forti, si stanno sforzando di agire e di affrontare le crisi in atto con intenso, comune impegno, anche se le valutazioni e discussioni tra noi ancora risentono di diverse sensibilità e retaggi storici. Non spetta a me, ed in questa sede, proporre soluzioni, ma desidero qui evocare il concetto di “disarmo verbale” utilizzato di recente da chi è stato un grande interprete della politica estera della Repubblica Federale tedesca in anni dinamici e delicati: Hans-Dietrich Genscher. Nel corso di un’intervista poche settimane fa ad un quotidiano tedesco, a proposito della crisi russo-ucraina, Genscher ha detto: “Non bisogna dimenticare: il riarmo verbale è sempre stato l’inizio del peggio. Per questo motivo dovremmo ora iniziare con il disarmo verbale”. Anch’io credo che, pur nella consapevolezza della gravità della situazione, degli errori commessi, dei gravissimi danni subiti dalle popolazioni e dall’ordine internazionale, sia necessario raffreddare il dibattito, metter fine alle esasperazioni e unilateralità, recuperare la fiducia reciproca, ricercare soluzioni realistiche, praticabili per evitare l’aggravarsi del quadro delle ingovernabilità e l’allargamento della mappa delle crisi.
Con altrettanta preoccupazione vediamo il riacutizzarsi di tensioni e l’insorgere di nuovi complessi scenari di tensioni e di conflitto. Dalla Siria all’Iraq, dal Sahel al Corno d’Africa, dalla Libia alla Nigeria l’emergere di una diffusa instabilità sembra svelare la gravità di problemi non risolti e confermare una difficoltà di fondo della comunità internazionale a trovare un equilibrio duraturo al livello mondiale. Non sono solo il numero e l’intensità dei conflitti in corso a preoccupare, ma l’apparente impossibilità di individuare soluzioni stabili e condivise o a mediare tra interessi materiali e politici che sembrano inconciliabili. Non possiamo non ricordare quello che ha detto e ripetuto anche in recenti occasioni Papa Francesco, e cioè che sarebbe già in atto un terzo conflitto mondiale, ma “a pezzi”. Con l’ottimismo della volontà non possiamo rinunciare a ricercare soluzioni agli enormi problemi che vediamo di fronte a noi e a contribuire per alleviare le indicibili sofferenze delle vittime di conflitti, dei milioni di persone in fuga da inimmaginabili atrocità. Dobbiamo d’altra parte porre ogni cura e fare ogni sforzo per evitare che la doverosa contrapposizione verso chi esercita la violenza terroristica e cerca oggi di imporre una visione del mondo fanatica, arcaica ed oscurantista venga percepita come una contrapposizione tra Occidente e Islam. Noi riteniamo di essere dalla stessa parte dell’Islam colto, aperto e civile che ha lasciato una traccia profonda nella storia del mondo e che ancora, ne sono certo, darà un contributo importante al cammino dell’umanità.
Penso sia oggi necessario riscoprire le ragioni del riconoscerci tutti nel quadro delle Nazioni Unite, delle organizzazioni internazionali e delle alleanze che uniscono tanti paesi del mondo. E all’interno di tanti singoli paesi occorre far rivivere uno spirito di tolleranza : un concetto così antico che sembra oggi essere stato dimenticato. Riscopriamola invece come elemento essenziale della convivenza che sola consentirà all’umanità di svilupparsi in pace.
Un segno inatteso e benvenuto in questo senso ci è giunto ieri dagli annunci del Presidente degli Stati Uniti Obama e del Presidente di Cuba Raul Castro, di una svolta nei rapporti tra i due paesi, una svolta – dovuta anche alla illuminata mediazione della Santa Sede – che possiamo ben definire storica, ricordando le drammatiche tensioni che in quell’area opposero le due superpotenze che si confrontavano in un mondo rigidamente diviso in blocchi.
Desidero da ultimo attirare la vostra attenzione sul fatto che, per la prima volta a nostra memoria, a questa tradizionale e calorosa cerimonia degli auguri del corpo diplomatico al Capo dello Stato si è voluto fossero associati quarantacinque Segretari di Legazione, i vincitori cioè dell’ultimo concorso per l’ammissione al Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale. Abbiamo voluto invitarli per sottolineare quanta aspettativa si nutra nei confronti loro e degli altri giovani funzionari dello Stato che vengono oggi chiamati ad affrontare situazioni nuove, di fronte alle quali abbiamo talvolta l’impressione di non possedere gli strumenti concettuali adatti. Confidiamo molto che i nostri giovani, e quelli di ogni paese qui rappresentato, sapranno dare un contributo importante per meglio capire e meglio affrontare realtà inedite che, sotto tante forme, stanno così rapidamente cambiando il mondo.
Buon Natale e Buon Anno a tutti. Grazie